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Il conflitto russo-ucraino e le ricadute sull'agroalimentare piemontese

A cura di Stefano Cavaletto, IRES Piemonte

Le crescenti tensioni internazionali ed il successivo scoppio del conflitto che ha coinvolto Russia ed Ucraina, stanno avendo un forte impatto su tutta l’economia regionale, con ripercussioni anche sul sistema agroalimentare italiano e piemontese. Le criticità maggiori riguardano da un lato una forte instabilità dei mercati delle materie prime ed il relativo aumento dei costi di produzione e dall’altro la chiusura di alcuni importanti canali commerciali, sia in ingresso che in uscita. Durante tutto il 2021, la ripresa della domanda mondiale all’indomani del periodo più critico della pandemia di Covid-19, ha spinto verso l’alto i prezzi delle principali materie prime, soprattutto il gas naturale ed il petrolio.

Questa dinamica, nel nostro paese, ha avuto un impatto più intenso rispetto alla media europea a causa dell’alta dipendenza dall’import extra UE di tali prodotti. La situazione si è poi aggravata con lo scoppio del conflitto in Ucraina e le successive sanzioni internazionali nei confronti della Russia, dato che quest’ultima rappresenta per l’Italia il principale fornitore di gas (circa il 42% del fabbisogno nazionale).

Aumento dei prezzi dei fattori produttivi

Per il settore agroalimentare piemontese la situazione più critica è certamente quella legata all’aumento dei prezzi della maggior parte dei fattori produttivi. Nel 2021, il prezzo internazionale del petrolio è risultato in crescita del 67% rispetto all’anno precedente, mentre per il gas naturale si è arrivati addirittura ad aumenti oltre il 300%. Questo ha significato un rincaro contemporaneo di molti prodotti che hanno tra le proprie componenti queste materie prime come, ad esempio, i fertilizzanti e i concimi.

Nel mese di marzo 2022, dopo lo scoppio del conflitto, la situazione è ulteriormente peggiorata e gli aumenti annui in valore, nel primo trimestre, ammontavano ad oltre il 60% per l’energia elettrica e i carburanti e al 40% circa per i fertilizzanti e i concimi. Di conseguenza, il costo produttivo medio del settore agroalimentare è aumentato del 22,7% con punte del 33% per il comparto cerealicolo e del 28% per l’orticolo (fonte Ismea). Sul fronte della redditività la situazione più critica riguarda le aziende con un alto fabbisogno energetico e con maggiori vincoli nell’adeguare i prezzi di vendita. È il caso, ad esempio, delle aziende inserite in filiere di tipo verticale molto rigide i cui prezzi sono imposti dalle fasi più a valle (industria e distribuzione).

Uno studio realizzato dall’Ismea ha messo in evidenza che per le colture vegetali i costi degli input produttivi sono mediamente aumentati del 5,7% nel 2021, salendo oltre il 16% nel primo trimestre 2022 mentre per i settori zootecnici gli aumenti sono stati rispettivamente del 6,1% e del 20,4%. Scendendo più nel dettaglio, tra i settori più colpiti sono stati individuati alcuni seminativi (colture industriali e cerealicole) insieme agli allevamenti di polli da carne, di galline ovaiole e di suini.

L’aumento generalizzato dei costi produttivi ha spinto verso l’alto i prezzi all’origine di molti prodotti agricoli con ricadute a catena su prezzi all’ingrosso e al consumo. Questi ultimi, nella rilevazione Istat di aprile 2022, sono cresciuti del 6,4% su base annua con un’impennata proprio negli ultimi mesi. Si tratta di aumenti non comparabili con i tassi registrati nei settori dei prodotti energetici e dei trasporti ma che andranno comunque ad incidere in misura notevole sulle scelte di consumo delle famiglie, dopo i cambiamenti messi in atto nel periodo pandemico.

Il blocco delle importazioni

Il blocco delle importazioni dall’area del conflitto ha coinvolto soprattutto la filiera cerealicola a causa dell’importante ruolo delle forniture provenienti da Ucraina e Russia. Secondo i dati Istat, infatti, questi due paesi rappresentano nell’insieme il 29% delle esportazioni mondiali di grano tenero; a questo dato si aggiunga il fatto che il blocco navale dei porti del Mar Nero interessati dal conflitto impedisce il transito anche delle merci provenienti da altri paesi. Quindi, il mercato del grano tenero è quello maggiormente condizionato dalla guerra in corso ma tale criticità si riflette solo parzialmente sulle aziende trasformatrici italiane, dato che il nostro Paese, pur avendo un livello di autosufficienza solo del 30%, importa questo prodotto principalmente dal mercato interno comunitario (su tutti Ungheria e Francia che nel 2019 totalizzavano il 40% degli acquisti).

Tra i paesi nostri fornitori di grano, infatti, l’Ucraina si trova soltanto al sesto posto con il 5% circa. Anche per il frumento duro, destinato all’industria della pasta, il principale fornitore extra UE è il Canada mentre Russia e Ucraina occupano un ruolo marginale (circa 1%). Più critica, invece, la condizione del mercato del mais in cui l’Ucraina, nell’ultimo decennio, aveva acquisito un ruolo sempre più rilevante a livello globale arrivando a commercializzare il 15% degli scambi totali e con un’incidenza ancora maggiore se si restringe il campo all’industria mangimistica (per l’Italia il 24% dell’import nazionale in questo mercato). Il prezzo medio all’origine del mais, rilevato da Ismea, è salito in un solo mese dai 277€/t di febbraio ai 374 €/t di marzo 2022.

La situazione delle esportazioni

Sul fronte dell’export le difficoltà legate alla chiusura di alcuni canali commerciali hanno colpito in modo selettivo. I dati relativi al settore agroalimentare nel suo insieme mostrano una buona ripresa nel 2021 dopo una relativa stabilità nel 2020. In questo caso il periodo pandemico aveva causato un arresto delle esportazioni soltanto nei primissimi mesi ma già nel corso del 2020 la situazione era tornata alla normalità. Nel 2021, invece, la dinamica è stata positiva con un aumento del 15,8% rispetto all’annata precedente. In questo ambito il drastico calo che si è registrato ad inizio 2022 nei due paesi in guerra, ha riguardato, in particolare, specifiche produzioni storicamente destinate a quell’area.

Analizzando i dati Istat sulle esportazioni nelle annate precedenti, si può notare come sia soprattutto il settore delle bevande quello ad essere maggiormente coinvolto. Le aziende piemontesi del settore, nel 2019, totalizzavano vendite per circa 70 mln di € in Russia e 37 mln in Ucraina. La somma dei due paesi raggiunge il 3% sul totale della categoria “bevande”. Anche se apparentemente questa cifra può sembrare poco rilevante, si tratta in realtà di un insieme di produzioni molto vasta e diversificata in cui, per la nostra regione, la gran parte è rappresentata dalle produzioni vitivinicole. In questo caso le maggiori preoccupazioni riguardano il mercato dell’Asti Spumante per il quale la quota di mercato destinata a quell’area supera il 25%.

La sicurezza alimentare e le misure di emergenza

Allargando lo sguardo sull’impatto generale della crisi, si riaccende l’attenzione su un aspetto della sicurezza alimentare – la food security, ovvero la sufficiente disponibilità di cibo - che nell’Unione Europea costituisce il principio fondatore della politica agricola comune, di cui è in corso la definizione dei programmi per il periodo 2023-27.

La situazione sta imponendo alcune misure di emergenza (ad esempio la rimessa in coltivazione di terreni “messi a riposo” per ragioni ambientali) ma l’UE ha ribadito la sua strategia di lungo periodo che punta ad una riduzione degli input chimici ed energetici affiancata dall’innovazione tecnologica per sostenere la produttività pur favorendo una maggiore sostenibilità ambientale. Il costo delle materie prime alimentari rappresenta inoltre un vero dramma per i Paesi più poveri anticipando i possibili effetti che il cambiamento climatico potrebbe causare nel futuro.

Nell’ottica della programmazione comunitaria, vista la difficoltà di prevedere queste dinamiche a causa della lunghezza di ogni ciclo (7 anni), sarà sempre più importante progettare degli strumenti per prevenire o almeno limitare l’effetto di tali crisi. Soltanto negli ultimi anni si ricordano numerosi momenti di instabilità più o meno gravi causati da eventi di portata internazionale come la crisi del cosiddetto Credit Crunch (200708), la crisi dei debiti sovrani (2012), la Brexit (2019/20), la pandemia di Covid-19 e l’ancora attuale conflitto tra Russia e Ucraina.

L’insieme di questi fattori ha reso indispensabile aumentare le risorse destinate alla gestione dei rischi (compresi quelli di origine meteoclimatica) e alla stabilizzazione dei redditi. In particolare, nell’ultima versione del prossimo PSP (Piano strategico per la PAC), a questi temi saranno destinati circa il 19% della parte dedicata allo sviluppo rurale e circa il 10% dei pagamenti diretti per un totale nazionale di quasi 6 miliardi di €.