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Il rilancio della castanicoltura in Valle di Susa

di Tullio Turchetti*, Mauro Parisio**, Giovanni Falchero**, Piero Gemignani*

*Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CN; ** Comunità Montana Val di Susa e Sangone

 

Introduzione

La coltivazione del castagno costituisce un’importante risorsa economica nella ValSusa per il valore della produzione di marroni e la notevole valenza ambientale degli impianti che ne qualificano il paesaggio. Nel passato la castanicoltura ricopriva un ruolo primario per le popolazioni di montagna, ma in seguito al miglioramento delle condizioni socio-economiche, si è verificato  l’abbandono degli impianti in molte zone. Inoltre gravi patologie, quali il cancro della corteccia e il mal dell’inchiostro, causati rispettivamente dai funghi  parassiti Cryphonectria parasitica ( Murr. ) Barr. e Phytophthora cambivora ( Petri ) Buism., hanno contribuito al degrado di numerosi impianti da frutto e in molti casi alla loro conversione in cedui di castagno.
A partire dagli anni ’80 si è manifestato un rinnovato interesse per i castagneti da frutto, sollecitato dalle richieste del mercato per i “marroni di pregio”. In questo contesto, è sorta l’opportunità di rilanciare in Valsusa, la coltivazione del castagno che offre produzioni di marroni di ottima qualità. Sin dal 1984, la Comunità Montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia, poi Comunità Montana Val Susa e Val Sangone con la collaborazione dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CNR ha attivato un programma per la valorizzazione e lo sviluppo della castanicoltura locale
La recente comparsa in Italia del cinipide galligeno Dryocosmus kuriphilus,presente nel Piemonte dal 2003 e diffusosi nella Valsusa dal 2008 circa, ha alimentato crescenti  preoccupazioni per  il futuro  del Castagno.

 

Situazione dei castagneti

I castagneti, occupando circa il 10% della superficie forestale, costituiscono la terza formazione boschiva della Valle e sono presenti in numerosi comuni, principalmente ne sono interessati: Bussoleno, Mattie, San Giorio di Susa, Villar Focchiardo, Meana di Susa e Giaglione.
Il castagno vegeta nella Valsusa a quote comprese tra i 400 e  700 m. s.l.m.. Numerosi impianti risultano coltivati assieme ad altri abbandonati e in competizione  con la rinnovazione naturale  e con le specie arboree invadenti . Un altro aspetto non trascurabile, è la frammentazione proprietaria: buona parte dei castagneti da frutto vegeta in piccole proprietà che, in molti casi occupano una superficie inferiore a un Ha, spesso dispersa, pur appartenente a uno stesso soggetto. Da circa un ventennio, le superfici coltivate e le produzioni sono però in aumento grazie  al recupero dei castagneti da frutto tuttora in corso.

 

Il recupero

Potature

La concessione di contributi , tramite bandi annuali,  ha permesso di recuperare oltre 4.636 piante fino al 2011. Diversi proprietari hanno ripristinato i loro impianti senza sussidi, per cui  il numero delle piante recuperate e delle superfici coltivate è superiore a quelle ufficialmente dichiarate.
Le potature sono state effettuate evitando tagli rilevanti e rispettando la forma degli alberi.  Si è così restituito o conferito alle piante un aspetto adeguato e tale da: migliorare l’aereazione, l’illuminazione nelle chiome e limitare i danni da cancro della corteccia .

Anni

n.° piante potate

Superficie recuperata ettari

1984 - 1990

1.564

22,4

1991 - 2000

1,657

23,9

2001 - 2011

1.451

20,4

Totali

4.636

66,7

Tabella 1 – Risultati relativi agli interventi di potatura effettuati durante il periodo 1984 – 2011, per il recupero dei castagneti nella Valle di Susa.


Le osservazioni effettuate per accertare l’entità dei danni causati dal cancro della corteccia, hanno evidenziato bassi valori di mortalità e confermato il predominio dell’ipovirulenza per la rilevante quantità di cancri cicatrizzanti e cicatrizzati. Questi cancri, originati dagli isolati ipovirulenti del parassita, sono caratterizzati o da un rigonfiamento più o meno esteso che avvolge completamente il ramo o il pollone senza ucciderlo (Fig.1), oppure da aree necrotiche nerastre superficiali, spesso espulse dai tessuti dell’ospite, tipiche dei cancri cicatrizzati. E’importante non eliminare i cancri cicatrizzanti e cicatrizzati  per mantenere un buon livello d’ipovirulenza all’interno dei castagneti, al contrario dovranno essere rimossi tutti i rami e rametti morti e soprattutto quelli uccisi da attacchi recenti della malattia, facilmente riconoscibili per le foglie secche ancora attaccate.

fig 1
Fig. 1 - Cancro cicatrizzante

 

Le potature effettuate con questi criteri e previa protezione delle superfici di taglio, costituiscono un efficace intervento di difesa biologica perché riducono il potenziale d’inoculo degli isolati mortali e quindi la loro diffusione. A questo riguardo il taglio dei rami uccisi dovrà essere effettuato sulla zona sana per evitare che gli attrezzi possano contaminarsi e trasformarsi in vettori del parassita. Tutto il materiale di risulta sia infetto che morto dovrà essere distrutto.  Il “mal dell’inchiostro” è presente  nel territorio con attacchi sporadici.

Difesa degli innesti

Gli attacchi del cancro della corteccia sugli innesti costituiscono la principale criticità. La difesa è stata indirizzata alla protezione del punto d’innesto con  mastici contenenti l’additivo biologico brevetto CNR 9406 (Fig.2) . Intervenendo su giovani polloni e semenzali di cm. 1 – 2 di diametro con  innesti a zufolo, a spacco pieno, a doppio spacco inglese e a gemma, si sono ottenuti ottimi risultati perché difficilmente vengono colpiti dalla malattia.

 

fig 2
Fig. 2 - Innesto a zufolo modificato e  protetto dal biomatice

 

L’esecuzione dell’innesto a zufolo è stata perfezionata eliminando i quattro lembi di corteccia tagliati sul soggetto, in modo che le superfici di taglio  combacino con quelle della marza ad anello, previa protezione con  biomastici. Il cilindro legnoso formatosi al disopra della marza dovrà essere eliminato.

Diffusione dell’ipovirulenza 

Il cancro della corteccia è ormai presente in tutti castagneti italiani e grazie alla diffusione naturale degli isolati ipovirulenti, la mortalità appare alquanto contenuta. Però nei casi di recupero degli impianti ed esecuzione di innesti, si può incrementare la diffusione dell’ipovirulenza (le infezioni da C. parasitica  possono ovunque  insediarsi anche se il punto d’innesto è validamente difeso).

 

fig 3
Fig. 3 - Pollone di castagno infettato artificialmente con quattro diversi isolati ipovirulenti di C. parasitica

 

Inoculazioni artificiali  con isolati ipovirulenti ottenuti dalla Val di Susa sono state effettuate in combinazione di quattro diversi ceppi su polloni di cedui situati in vicinanza degli impianti recuperati (San Giorio di Susa, Villarfocchiardo e Mattie e nei dintorni di Venaus). Tutte le infezioni artificiali hanno prodotto cancri cicatrizzanti, con picnidi capaci di diffondere l’ipovirulenza, che  dopo tre anni  erano completamente esauriti e cicatrizzati. (Fig. 4).

Aree omogenee e attività dimostrative

Durante il periodo compreso tra il 2000 e il 2005, è stato attuato il recupero di castagneti abbandonati e limitrofi a quelli già coltivati costituendo così aree omogenee. L‘iniziativa è stata sperimentata in 8 comuni (Mattie, Chianocco, Condove, Vaie, Venaus, Bussoleno, San Giorio di Susa e Villaforcchiardo). Inoltre due castagneti dimostrativi sono stati costituiti  a San Giorio di Susa : il primo è un  frutteto di castagno della varietà locale “ Marrone di Susa “, mentre il secondo è un impianto da frutto tradizionale. In entrambi sono stati eseguiti prove di potature, innesti e  concimazioni. Nel primo impianto, con le potature, sono state  ottenute chiome basse ed espanse capaci di conferire ottime produzioni (Fig. 2). 

 

fig 4
Fig 4 - Castagneto di San Giorio - TO

 

Riunioni e giornate dimostrative sono state organizzate per illustrare i criteri e le metodologie  adottate e particolare impegno è stato profuso per le maestranze addette  alle potature. Le esperienze acquisite sono state divulgate in un manuale, pubblicato nel 2009.

Valorizzazione della produzione per la commercializzazione

Il riconoscimento e l’adozione dell’Indicazione Geografica Protetta “ Marrone della Valle di Susa”.costituiscono un importante supporto per la valorizzazione della produzione e la salvaguardia della sua qualità. Il “ Marrone della Valle di Susa, a novembre del 2010, è stato  iscritto nel registro delle D.O.P. e I.G.P., costituendo un valido contributo per l’economia del territorio.

Le nuove emergenze: il cinipide galligeno

Nella primavera del 2007 è stato segnalato il primo focolaio di cinipide galligeno in Valsusa  e a partire dalla primavera del 2009 (previo monitoraggio) è stato introdotto il parassitoide, Torymus sinensis Kamijo, per un totale di 70 lanci . Contemporaneamente sono state eseguite concimazioni organiche. Il concime è stato somministrato in aprile, all’inizio della ripresa vegetativa degli alberi; in qualche impianto è stato effettuato un leggero intervento anche in autunno. Sono stati utilizzati prodotti ammessi per la coltivazione biologica quali ad esempio la pollina. I concimi sono stati distribuiti attorno ad ogni singola pianta e con modalità diverse (dalla distribuzione superficiale al leggero interramento)  in relazione  alle condizioni di declività. La dose d’impiego variava in funzione delle dimensioni delle piante e del titolo del concime, generalmente è compresa tra 3-10 kg di prodotto/pianta.In molti casi è stato impiegato un “compost” di ricci e foglie di castagno integrato con pollina o letame..

 

Conclusioni  e prospettive

Le esperienze effettuate  hanno evidenziato l’ importanza di vari fattori e cioè oltre alla convenienza economica e sociale, appaiono  prioritari: l’estensione dei castagneti da frutto, la verifica del loro stato vegetativo e fitosanitario, la facilità  di accesso agli impianti,  l’attività gestionale e soprattutto la produttività.  Previsioni e verifiche di mercato sono prioritarie. Oltre alla frammentazione della proprietà, numerosi castagneti risultano abbandonati dai rispettivi proprietari che non mostrano più alcun interesse per la castanicoltura. Entrambi questi ostacoli possono essere rimossi con le aree omogenee e coinvolgendo i vari proprietari che ancora coltivano gli impianti anche sollecitando, attraverso forme concordate di conduzione, quelli meno interessati per attivare così il recupero di questi castagneti e la loro gestione. Inoltre molti degli addetti sono  pensionati  o persone che svolgono attività lavorativa in altri settori  e che gestiscono i propri impianti impegnando il tempo libero: si tratta di una castanicoltura definibile “part-time”. Alla luce di queste considerazioni sarebbe auspicabile che i nuovi impianti siano frutteti di castagni costituiti da piante innestate con le cultivar di “ marroni” locali di pregio e allevate basse su sesti d’impianto ampi (ad es 12 x12) per favorire lo sviluppo espanso delle chiome. La produttività ne risulterebbe  incrementata e la gestione di questi alberi sarebbe semplificata,  soprattutto  per le potature ( i proprietari, grazie  alle dimensioni più contenute degli alberi, potrebbero eseguire personalmente i vari interventi cesori).

Oltre alla necessaria gestione degli impianti e nonostante la comparsa di nuove criticità quali la rapida invasione della vespa cinese, obiettivo principale è  lo sviluppo della castanicoltura indirizzato verso il conferimento di produzioni di qualità elevata. In questo contesto, la presenza di impollinatori, che possono conferire alla produzione caratteristiche peculiari, potrebbe essere importante: nella Valsusa  esistono alcune varietà locali selezionate proprio per questo scopo, quali le cultivar Salenge, Neirana e Pelosa di Vaie che sono ottimi impollinatori, ma attualmente rischiano di estinguersi perché non più considerate. L’allegagione nei marroneti è così affidata al polline proveniente dai cedui e da impianti abbandonati o semi abbandonati.  Le diverse iniziative intraprese hanno valorizzato le produzioni e a questo proposito riveste particolare importanza la visibilità del prodotto, oltre ai percorsi di tracciabilità, tutti volti a esaltare le caratteristiche nutrizionali e gustative, (marchi IGP ed altri).
E’ evidente che il ciclo vegetativo e quello produttivo sono influenzati dagli andamenti climatici e nell’arco dell’ultimo decennio si sono verificati episodi di discontinuità stagionale ( primavere piovose e ventose, estati umide o eccessivamente siccitose) che hanno favorito i parassiti, penalizzato l’allegagione e i successivi processi di formazione e maturazione della frutta determinando, nel corso di alcune annate, significative riduzioni delle produzioni. Fra le avversità più recenti che hanno colpito la castanicoltura deve essere affrontata l’ infestazione del cinipide galligeno del castagno. Recentemente, grazie alla diffusione dell’insetto parassitoide T. sinensis, all’attività di parassitoidi locali, alle concimazioni organiche e a fattori ambientali, si è verificato un generale miglioramento tanto che le piante hanno ricominciato a conferire produzioni apprezzabili. Tuttavia, nuove dinamiche fitosanitarie si stanno  manifestando ed è da tenere presente l’incremento di danni da marciumi e mummificazioni delle castagne. Tutti questi aspetti richiedono una serie di interventi ( lotta biologica, concimazioni, potature, etc.) calibrati per le applicazioni nelle varie località, considerando anche la diversità ambientale  nello stesso territorio.
E’ intento delle presenti considerazioni, sollecitare interessi ed iniziative di sostegno per il Castagno onde prevenire processi involutivi e contrari allo sviluppo della castanicoltura, alla quale non possiamo rinunciare perché componente fondamentale della nostra cultura e tradizione.