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L’emergenza COVID-19: un’analisi degli effetti sul settore agroalimentare in Piemonte

A cura di IRES Piemonte, Osservatorio Rurale

 

A quattro mesi dallo scoppio dell’epidemia di COVID-19, il settore agricolo piemontese affronta un primo bilancio della crisi che ha colpito il sistema economico nazionale e globale. La pandemia ha avuto conseguenze, più o meno gravi, in tutti i settori della società con ripercussioni economiche molto difficili da valutare sia nell’entità che nella durata.

Nelle decisioni del governo italiano, in particolare nei decreti dell’11 e del 21 marzo 2020, l’agroalimentare è stato individuato tra i settori strategici per l’economia nazionale, pertanto non è stato soggetto (con l’eccezione del florovivaismo) alle chiusure previste per il contenimento dell’epidemia, limitando i danni subiti. Il comparto, però, ha dovuto affrontare fin da subito numerose difficoltà, soprattutto a causa dell’improvvisa chiusura di un importante sbocco commerciale quale il settore turistico e della ristorazione, oltre che per le difficoltà di movimento dei lavoratori stagionali, in gran parte di origine straniera.

L’IRES Piemonte, nell’ambito del suo Osservatorio Rurale, ha realizzato un’analisi che fa il punto sull’esposizione al danno causato dalla pandemia nei vari comparti agroalimentari e dell’agriturismo. Lo studio ha preso il via da una richiesta della Regione Piemonte, che intende disporre di un quadro orientativo per meglio definire le misure di intervento.


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Agroalimentare: un danno contenuto nell’insieme ma grave per alcuni

Secondo l’ISTAT il settore agroalimentare in Piemonte crea nel complesso circa 5 miliardi di € di valore aggiunto, pari al 4,2% del totale regionale, con un’elevata propensione all’export risultando una delle branche economiche più rilevanti e dinamiche dell’economia piemontese.
Sulla base delle prime stime disponibili a livello nazionale il settore agroalimentare, soprattutto se paragonato ad altri comparti economici, non dovrebbe nel complesso aver subito gravi effetti negativi dall’emergenza legata al COVID-19 a differenza di quanto avvenuto in altri comparti.

Ad esempio, una recente analisi di Intesa Sanpaolo e Prometeia ha stimato che nel 2020 il fatturato del comparto manifatturiero italiano calerà del 14,7% mentre le perdite dell’agroalimentare si prevedono intorno al -4,4%. Inoltre è assai probabile che danni più rilevanti si possano riscontrare in diversi settori del terziario, quali turismo, pubblici esercizi, cultura e spettacolo, parte dei servizi alla persona. Tornando al manifatturiero, a parte il settore farmaceutico che beneficerà di una crescita del 4,2%, l’agroalimentare sarà il comparto meno penalizzato e già dal 2021 e sino al 2024 è previsto un rimbalzo grazie al quale dovrebbe rapidamente raggiungere e superare i livelli del 2019.

Questo non significa che alcune componenti del mondo rurale non stiano subendo criticità molto rilevanti. Ciò vale sia per alcune produzioni agricole che sono state soggette a chiusura (florovivaismo) oppure la cui filiera è molto legata al canale HORECA e all’export (es. vitivinicolo), o ancora per attività secondarie tra cui, in particolare, l’agriturismo e le altre forme di accoglienza del pubblico (es. fattorie didattiche). Inoltre sta emergendo che i danni siano più concentrati in specifici territori.

Florovivaismo e agriturismo colpiti dalla chiusura diretta

Il settore florovivaistico, non producendo generi alimentari, è stato impossibilitato a vendere i propri prodotti al pubblico, subendo un arresto delle entrate proprio nei mesi più importanti dell’annata commerciale. Secondo gli operatori del settore, le stime dei danni relativi a questo periodo ammonterebbero a circa il 55-60% del fatturato annuo, con un’incidenza maggiore per le aziende floricole. Alla fine del 2019 in Piemonte erano presenti 805 le aziende florovivaistiche iscritte al registro delle imprese, con una produzione ai prezzi di base di circa 71 milioni di euro.

Un altro comparto del mondo rurale costretto a fermarsi è stato quello dell’agriturismo. Le 1.316 aziende operanti in Piemonte (ISTAT, 2018) di cui 914 con possibilità di pernottamento, per tre mesi hanno dovuto rinunciare del tutto ad una fonte di guadagno indispensabile per garantire la propria redditività. A queste vanno aggiunte circa 250 fattorie didattiche, anche se per esse si apre ora la possibilità di poter ricevere i bambini all’aperto nei mesi estivi. Per le attività di ristorazione e ricezione la crisi, pur attenuandosi con la riapertura, potrebbe avere un serio strascico, dovendo fare i conti innanzi tutto con la brusca riduzione della clientela estera, il cui flusso normalmente si avvicina alla metà degli ospiti del nostro turismo rurale. Uno spiraglio sembra aprirsi per le aziende situate in aree montane in cui nei mesi estivi si prevede un aumento di flussi turistici locali, se saranno confermate le previsioni sulla ridotta mobilità della popolazione italiana nelle prossime vacanze estive. In ogni caso, le aziende ricettive dovranno affrontare importanti misure di adattamento dei propri spazi per rispettare le regole sanitarie, riducendo la capacità di accoglienza e subendo costi imprevisti.

La sanificazione delle strutture e l’adeguamento delle stesse per la tutela degli operatori hanno interessato fin da subito anche tutte le attività di trasformazione e, più in generale, tutte le operazioni svolte negli ambienti chiusi. Molte aziende hanno dovuto rallentare il proprio processo produttivo, altre hanno dovuto sospendere la produzione per i tempi necessari ad adeguare le proprie strutture alle nuove normative.

 

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I settori più danneggiati dal blocco del canale HORECA e dell’export

La chiusura delle attività nel complesso denominate con l’acronimo HORECA (HOtellerie, REstaurant, CAtering o CAfè) in Italia e in quasi tutti i principali paesi nostri acquirenti è stata la principale causa indiretta di riduzione delle vendite in diversi comparti agroalimentari, sia sul mercato interno che attraverso la contrazione dell’export.
Il danno, secondo le informazioni disponibili, tende a concentrarsi sulle produzioni DOP e i vini DOC/DOCG, che trovano normalmente un importante sbocco in questi canali. Inoltre, con l’avanzare della crisi economica in paesi grandi importatori come USA e Gran Bretagna, il calo delle vendite si sta diffondendo anche nei consumi domestici, andando ad incidere su prodotti di alta gamma come, ad esempio, i prodotti DOP più pregiati. Secondo Federalimentare, il valore dell’export alimentare italiano in quest’annata potrebbe scendere del 15% rispetto al 2019.
In Piemonte, il comparto maggiormente danneggiato da questi fattori è il vitivinicolo, con entità rilevanti anche in ragione della dimensione economica della filiera (oltre 500 milioni di euro per la sola fase agricola) e dell’elevata propensione all’export. Le maggiori criticità riguardano quindi le imprese legate canali della ristorazione e ai mercati esteri, mentre per quelle orientate alla grande distribuzione e al mercato interno la situazione è stata meno grave, se non in qualche caso positiva.

Tra i comparti zootecnici, quello con il maggiore danno relativo potrebbe essere l’ovicaprino, dato che il consumo delle sue carni è caratterizzato da una forte stagionalità, con elevato peso del periodo di Pasqua. Anche nel settore delle carni bovine e nel lattiero-caseario l’improvviso cambiamento della domanda causato dal blocco dell’HORECA (riduzione della richiesta di tagli di carne pregiati oppure repentina contrazione della domanda di formaggi freschi) ha causato problemi di adattamento dell’offerta, con momenti di difficoltà acuta per il latte in ragione della sua deperibilità. Inoltre si segnalano situazioni locali di difficoltà per i produttori dei “piccoli” formaggi DOP legati alla ristorazione.

Il comparto delle carni suine potrebbe subire un danno indiretto in relazione alle minori vendite di prosciutti DOP presso i canali HORECA e l’export; la fase di trasformazione si svolge in altre regioni ma i produttori suinicoli piemontesi sono parzialmente fornitori di cosce. Inoltre il settore potrebbe essere soggetto a dinamiche negative dei prezzi internazionali, da monitorare nei prossimi mesi.
Il comparto avicolo ha visto un incremento dei consumi soprattutto per le uova, con quotazioni in crescita; si segnalano però oscillazioni dei prezzi per le carni che possono essere messe in relazione con fasi di eccesso d’offerta, aspetto tuttavia non raro in questo tipo di mercato.

Il mercato internazionale, soprattutto nei primi mesi della pandemia, ha visto anche un aumento della volatilità dei prezzi delle materie prime che ha interessato soprattutto i settori zootecnici. Nel lattiero caseario si è registrato quasi subito un crollo del prezzo del latte alla stalla (-20% tra febbraio e aprile per la quotazione del latte crudo spot nazionale, poi in recupero), causato dalla diminuzione della domanda mondiale in un momento di crescita produttiva. La riduzione dei consumi ha interessato anche i comparti delle carni, sebbene la produzione regionale non operi sui mercati esteri. Di maggior importanza, per queste aziende, sono le voci di costo tra cui i mangimi e i capi vivi da importazione.

Una parziale compensazione dai maggiori consumi domestici

I risvolti negativi dell’emergenza pandemica sono stati in parte compensati dall’incremento dei consumi domestici, che nella fase iniziale del lockdown hanno anche mostrato qualche fenomeno di accaparramento, tipico delle situazioni di grave incertezza sociale. Questo si è tradotto in opportunità per le aziende che hanno saputo organizzarsi in modo efficiente.
Uno studio di ISMEA ha evidenziato nei mesi di chiusura un aumento medio del 19% della spesa domestica per gli alimentari. Nel canale della grande distribuzione sono inizialmente cresciuti i prodotti a lunga conservazione (pasta, riso, legumi e prodotti di quarta e quinta gamma) mentre a partire dalla seconda metà di marzo si è registrato un vero e proprio boom dei prodotti utilizzati per cucinare (uova, farina, olio, ecc…). Nel complesso la crescita maggiore è stata quella delle uova (+57% in valore rispetto allo stesso periodo del 2019) ma ottimi sono stati anche i risultati di salumi (30,6%), carni (28,4%), latte e derivati (26,7) e ortaggi 23,6%.

In risposta alle nuove necessità dei consumatori, molte aziende agricole hanno implementato forme di vendita diretta a domicilio anche grazie all’uso di piattaforme digitali appositamente create. Il canale distributivo con la maggiore crescita, in termini percentuali, è quello dei piccoli negozi di prossimità (in cui è stato più facile l’inserimento di nuove aziende agricole tra i fornitori) mentre nella grande distribuzione il canale dell’e-commerce ha raggiunto il limite massimo imposto dalla propria capacità.

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Il nodo della manodopera stagionale

Fin dai primi giorni dell’emergenza le principali organizzazioni agricole hanno richiamato l’attenzione sulla possibile carenza di manodopera stagionale, una componente fortemente rappresentata da lavoratori extraeuropei. Osservando i dati diffusi dall'ISTAT sul mercato del lavoro in agricoltura, emerge come la componente delle assunzioni a tempo determinato sia di gran lunga prevalente (la media nazionale è del 91%) con un'incidenza maggiore tra la manodopera straniera (94,4%). Secondo uno studio del Crea, in Piemonte nel 2017 erano oltre 35.000 gli occupati a tempo determinato di cui il 59% di origine straniera. Parte di tale manodopera raggiunge le nostre aziende arrivando dall’estero ogni anno, mentre un’altra componente risiede nel nostro Paese, soprattutto al Sud, spostandosi di regione in regione in base ai calendari dei lavori.

In Piemonte le attività che usufruiscono maggiormente manodopera stagionale sono i settori frutticolo e vitivinicolo in cui si svolgono attività di raccolta e di magazzino che avvengono principalmente tra la stagione primaverile e l'inizio dell'autunno. La mancanza di tale manodopera nelle stagioni di maggior intensità di lavoro potrebbe, quindi, mettere in crisi questi settori oltre che minacciare il regolare afflusso di scorte per l'approvvigionamento alimentare. Il rischio è meno rilevante nei settori zootecnici in cui la manodopera di origine straniera è sempre molto diffusa ma con un maggior ricorso delle assunzioni a tempo indeterminato. La progressiva eliminazione delle misure di contenimento della mobilità dovrebbe tuttavia ridurre questo rischio, sperando che nei mesi autunnali non si verifichi una nuova ondata epidemica che comporti nuove restrizioni. Inoltre, le organizzazioni agricole e le istituzioni regionali hanno attivato una campagna di reclutamento di manodopera locale che sta dando interessanti risultati.

Considerazioni finale

Data la differente distribuzione sul territorio dei diversi comparti, il tipo ed intensità dei danni causati dall’emergenza sul settore agroalimentare varierà considerevolmente da zona a zona. Nel caso del florovivaismo, il danno dovrebbe concentrarsi nelle aree periurbane e soprattutto nel distretto floricolo del Lago Maggiore, in provincia di Verbania.

Gli agriturismi sono diffusi nelle aree agricole periurbane, in montagna e soprattutto nella collina del vino, in particolare nell’area di Langhe, Roero e Monferrato, dove a questo tipo di danno si assomma quello più generale del blocco delle attività turistiche e la contrazione di vendite del comparto vitivinicolo. In termini generali, si ritiene quindi che la particolare concentrazione di aspetti critici in questi territori collinari costituisca il maggior elemento di preoccupazione, poiché colpisce un’area e una catena del valore che si erano caratterizzati nell’ultimo decennio per una crescita costante, grazie alla capacità di attrarre clientela sia nazionale che estera e di creare una forte sinergia tra i punti di forza del territorio. Nelle aree montane, inoltre, alle difficoltà del turismo si segnalano i rischi per le piccole filiere locali legate alle produzioni zootecniche di qualità. Sempre rimanendo nell’alveo del comparto agroalimentare e dell’agriturismo, le istituzioni ai vari livelli di governo hanno già messo in campo, o stanno sviluppando, numerosi interventi di aiuto, che saranno descritti in un altro articolo su questo numero della rivista.

In conclusione, resta da considerare che questa improvvisa crisi causerà ripercussioni importanti per diversi anni a venire, anche condizionando le caratteristiche e le risorse del prossimo ciclo di programmazione della PAC. Come tutte le crisi, peraltro, può contenere al suo interno stimoli e indicazioni utili ad innovare il comparto e il suo rapporto con i consumatori ed i cittadini, rendendolo più preparato ai cambiamenti futuri.

 

NOTA: l'analisi dell'IRES Piemonte

Partendo da una richiesta del Settore Programmazione e coordinamento sviluppo rurale e agricoltura sostenibile della Regione Piemonte, l’IRES ha raccolto e sistematizzato dati e informazioni per descrivere e, ove possibile, quantificare, gli effetti dell’emergenza causata da COVID-19 nei principali comparti agroalimentari e nell’agriturismo. Al tempo stesso, grazie ad un lavoro svolto in stretta collaborazione con i funzionali regionali, è stato avviato un monitoraggio delle misure di intervento attive o in fase di prossima definizione.

In termini metodologici, è stata definita una serie di criteri che descrivono il grado di vulnerabilità dei vari comparti agli effetti del lockdown, rispetto ai quali sono stati raccolti dati e informazioni, sintetizzati in quadri riepilogativi di comparto. È stata inoltre realizzata una specifica analisi per l’agriturismo, come espressione della diversificazione aziendale più rilevante e fortemente esposta alle limitazioni causate dall’emergenza.
L’analisi potrà essere utilizzata sia come supporto per la definizione degli strumenti di intervento per sostenere le aziende, sia per ricostruire nel tempo lo scenario dell’emergenza, consentendo di realizzare analisi ex-post a scopi valutativi. È previsto un aggiornamento continuo, man mano che le diverse fonti renderanno disponibili nuove informazioni, in stretta collaborazione con i committenti regionali.

Il documento integrale può essere consultato sul sito della Regione Piemonte sez. Agricoltura