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I rincari delle materie prime preoccupano il mondo agricolo

a cura di Stefano Cavaletto, Ires Piemonte

 

È allarme nel mondo agricolo per l’impennata dei prezzi delle materie prime. A partire dai primi mesi del 2021 e in misura più acuta nelle ultime settimane si sono, infatti, registrati aumenti di notevole entità in quasi tutti i listini relativi ai fattori di produzione dell’attività agricola. Secondo l’indice sintetico dei costi calcolato da Ismea, l’aumento medio sarebbe del 6,6% annuo (rilevazione di agosto 2021). Guardando le singole voci di spesa di cui l’indice si compone risaltano i prezzi dei prodotti energetici, che nel complesso segnano un aumento del 22,5% annuo. A questi si associa anche la risalita di mangimi (+6,6%), concimi e fertilizzanti (entrambi +5,8%) provocando un periodo di turbolenza per l’intero mercato agricolo con problemi più elevati per alcune produzioni.

Questa situazione si è originata principalmente a causa del forte aumento del prezzo del gas naturale sul mercato europeo. I principali fornitori di questa importante materia prima sono, infatti, extra europei e nel corso del 2021 hanno dovuto far fronte ad una crescita della domanda mondiale grazie alla forte ripresa economica in atto in molte aree del pianeta. Le principali organizzazioni agricole si sono mobilitate ponendo l’attenzione in particolare sullo stato di crisi di alcune filiere più sensibili a queste variazioni e spingendo verso l’adozione di sistemi di regolazione dei prezzi all’origine. Tra le produzioni più in difficoltà si segnala la situazione del lattiero caseario in cui ai costi energetici si somma la preoccupazione per gli aumenti paralleli dei prezzi di mais e soia. Da queste problematiche, tuttavia, sembrano escluse le aziende che conferiscono al circuito delle DOP sostenute da un buon periodo di mercato e da prezzi garantiti da contratti interni ai consorzi. Negli ultimi mesi i rincari di mais e soia hanno, infatti, toccato punte di +50% e +80% mentre nel medesimo periodo i prezzi all’origine dei prodotti zootecnici sono cresciuti in misura minore riducendo di fatto la redditività per le aziende. Il prezzo medio mensile del latte spot ha toccato il minimo nel mese di aprile (32,6 €/q) per poi risalire nel corso dell’estate (ad agosto era 39,38€/q, +20,7%). Andamenti simili si sono avuti anche per i suini da macello (+23%) mentre nello stesso periodo le altre produzioni hanno avuto incrementi in misura minore ad eccezione delle uova il cui valore è calato del 7%. Per il settore della carne bovina, invece, mais e soia risultano meno rilevanti nella composizione dell’indice dei costi, grazie ad una maggiore diffusione dell’utilizzo del foraggio e dell’allevamento a ciclo chiuso.
Un effetto collaterale di questa emergenza che ha colpito il mercato del gas naturale sarà probabilmente la riduzione della produzione di fertilizzanti. A fronte di costi crescenti, infatti, alcuni grandi produttori su scala mondiale hanno annunciato la chiusura di alcuni stabilimenti e la riduzione generale dei quantitativi immessi sul mercato. È noto che l’utilizzo di input chimici sia in forte calo negli ultimi anni in Europa, tuttavia una riduzione significativa quanto imprevista potrebbe provocare ulteriori squilibri in alcune produzioni per cui tali prodotti risultano ancora difficilmente sostituibili nel garantire rese e standard qualitativi adeguati.

Spostando l’attenzione sulla fase di trasformazione, in particolare sull’industria lattiera, i rincari non riguarderebbero soltanto i fattori di produzione primari ma anche quelli relativi alle fasi di trasformazione e commercializzazione come alluminio, carta, plastica oltre ai già citati costi energetici provocando un effetto domino che potrebbe avere ripercussioni negative anche sui prezzi al consumo. A questo si associa l’elevato dispendio per la fase di trasporto su gomma che nel nostro paese riveste ancora una grossa importanza. Secondo una nota di Coldiretti, infatti, l’85% delle merci in Italia viaggia su strada e ad aggravare questa informazione si aggiunge che risultiamo tra le nazioni in cui il costo chilometrico medio è più caro, 1,12€/km, superiore a quello di Francia (1,08) e Germania (1,04) e circa il doppio di nazioni come Polonia e Romania. Un costo destinato, quindi a crescere con l’aumento dei prezzi dei carburanti in un settore, quello agroalimentare, in cui la qualità delle infrastrutture rappresenta un fattore determinante per la distribuzione delle merci.

Questi temi saranno al centro anche del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) da cui gli operatori del settore si aspettano decisivi passi avanti per appianare le differenze con i principali paesi europei per rendere più efficace il commercio e la distribuzione sia internamente che verso i principali mercati esteri.