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I nuovi Prodotti Agroalimentari Tradizionali

Giovanna Ruo Berchera, Fabrizio Vidano – Regione Piemonte, Direzione Agricoltura

In occasione della XII edizione di Terra Madre – Salone del Gusto, a Torino dal 20 al 24 settembre scorsi, presso lo stand della Regione Piemonte sono stati presentati i nuovi prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) che la Regione ha riconosciuto nel corso del 2018. Ma cosa sono i PAT?
E’ una categoria che raggruppa i prodotti agroalimentari le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura sono consolidate nel tempo, ovvero praticate sul territorio in maniera omogenea e secondo regole tradizionali e protratte per un periodo di almeno 25 anni. E’ stata istituita dall’art. 8 del Decreto legislativo n. 173/98 e normata dal Decreto ministeriale n. 350/99.
Affianca, senza sovrapporsi (in quanto ha esclusiva valenza nazionale), la categoria delle denominazioni di origine protetta (DOP) e delle indicazioni geografiche protette (IGP), riconosciute invece dalla normativa europea.

Quanti e quali sono i PAT

L’elenco dei PAT del Piemonte, alla sua ultima revisione, annovera ben 342 prodotti, convenzionalmente raggruppati in 9 diverse categorie, secondo quanto previsto dalla normativa nazionale di riferimento:

  • Paste fresche e prodotti della panetteria, della biscotteria, della pasticceria e della confetteria: 102 prodotti
  • Prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati: 93
  • Carni (e frattaglie) fresche e loro preparazione: 69
  • Formaggi: 50
  • Prodotti di origine animale (miele, prodotti lattiero caseari di vario tipo escluso il burro): 11
  • Bevande alcoliche, distillati e liquori: 8
  • Condimenti: 5
  • Pesci, molluschi e crostacei e tecniche particolari di allevamento degli stessi: 3
  • Grasso: 1 (burro di montagna)

Il primo elenco dei PAT venne stilato nel 1999 e contava 162 prodotti; nel corso degli anni è stato più volte aggiornato con l’inserimento di nuovi prodotti, l’accorpamento di quelli aventi caratteristiche similari e la cancellazione di quei prodotti che nel frattempo sono stati riconosciuti come denominazioni di origine o indicazioni geografiche ai sensi della normativa comunitaria.
Le Regioni e le Province autonome aggiornano i propri elenchi dei PAT e le relative schede tecniche, che hanno avuto un’istruttoria con esito positivo, sulla base delle domande di inserimento presentate dai soggetti aventi titolo; gli elenchi approvati vengono quindi inoltrati annualmente al Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo che provvede ad inserirli nell’elenco nazionale.

Che cosa rappresentano

Gli elenchi così predisposti costituiscono un mero censimento dei prodotti definibili tradizionali e l’inserimento di un prodotto in tali elenchi non è costitutivo di diritti conseguenti alla pubblicazione. Inoltre, la scheda tecnica relativa ai singoli prodotti, non essendo equiparabile ad una disciplina produttiva, non è vincolante per i produttori. Tuttavia, dalla data di inserimento nell’elenco, il nome di ciascun prodotto, il suo eventuale sinonimo o termine dialettale non può costituire oggetto di successivo deposito o richiesta di registrazione da parte dei privati.
Il produttore che voglia comunicare al consumatore che quel prodotto è inserito nell’elenco dei PAT dovrà inserire la dicitura: “Prodotto inserito nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali di cui al Decreto ministeriale 8 settembre 1999, n. 350”.

Le novità 2018

I “nuovi” PAT riconosciuti nel 2018 dalla Regione Piemonte sono:

  • il Brut di Villareggia (Brut ed la Vila) nella categoria carni e frattaglie fresche e loro preparazioni;
  • l’Ansenta o Ansainta,
  • la Fritüra dossa o Pulenta dossa,
  • le Giuraje e la Grissia monferrina nella categoria paste fresche e prodotti della panetteria, della biscotteria, della pasticceria e della confetteri;
  • le varietà di riso Gigante Vercelli, Maratelli e Razza 77, che vanno ad aggiungersi a quelle già riconosciute in passato nella scheda dei Risi tradizionali, facente parte della categoria prodotti vegetali allo stato fresco o trasformati.

Con questi nuovi riconoscimenti l’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali del Piemonte raggiunge il ragguardevole numero di 342, a dimostrazione dell’ampio e variegato patrimonio enogastronomico della nostra Regione. I prodotti di qualità, l’accoglienza agrituristica e la bellezza del suo territorio sono noti in tutto il mondo e costituiscono un grande volano economico, sociale, culturale e turistico, a dimostrazione che il Piemonte persegue con successo le attività di promozione e valorizzazione delle sue risorse.

 

Brut di Villareggia

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Il Brut di Villareggia (Brut ed la Vila) è un salume a base di ciccioli, trippa, testa bollita disossata, pasta di salame e sangue suino. L’aspetto del prodotto è quello di un salame di lunghezza variabile dai 12 ai 20 cm e con diametro di circa 5 cm. La superficie si presenta priva di muffe e il colore esterno tende al marrone scuro, a causa della cottura dell’impasto e della presenza, in esso, di sangue suino. Al taglio il colore predominante lascia spazio a venature più chiare e bianche dovute alla presenza di ciccioli e trippa. Il profumo è delicatamente speziato e il sapore, caratteristico, presenta una sapidità non troppo intensa e ben armonizzata con le spezie.
La produzione del Brut è limitata al Comune di Villareggia, nel torinese, e, secondo le testimonianze delle persone anziane, un tempo era molto diffusa a livello familiare; essa rappresentava un valido metodo per il recupero delle parti meno pregiate del maiale. La tipologia e il rapporto tra i vari ingredienti poteva quindi variare, in modo anche significativo, da famiglia a famiglia, in funzione dell’esperienza e della disponibilità di materie prime.

 

Ansenta

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L’Ansenta o Ansainta è una sorta di brioche di forma ovale di peso variabile dai 100 ai 150 g. Ha consistenza morbida e spugnosa, con alveolatura finissima e regolare se l’impasto viene fatto con pasta madre; più compatta e con alveolatura più irregolare se preparata con lievito di birra. Appena sfornata sprigiona un gradevole profumo di brioche con sentori di burro e note agrumate.
Viene prodotta durante tutto l’arco dell’anno dalle panetterie di Cigliano (TO) seppur con lievi personalizzazioni. Alcune effettuano un impasto a lenta lievitazione con pasta madre mentre altre impiegano lievito di birra abbinato a pasta di riporto.
L'origine del nome Ansenta deriva quasi certamente da “ansagnt”, che nel dialetto piemontese di Cigliano significa “pezzo di pasta lievitato”.
Un tempo veniva regolarmente preparata nei forni comuni delle varie frazioni di Cigliano, in occasione della panificazione e delle feste; in primavera, era il dolce tipico da portare nella cesta quando si facevano le merende nei prati. Tale tradizione è rimasta ancora oggi in alcune frazioni del paese dove il prodotto viene preparato in occasioni particolari.

 

Fritüra dossa

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La Fritüra dossa o Polenta dossa è una polenta dolce a base di semola di grano duro che, una volta raffreddata, viene tagliata a piccole losanghe, impanata e fritta. Il prodotto, in italiano, è conosciuto come semolino dolce o semolino impanato.
La Fritüra dossa è uno dei componenti principali del fritto misto alla piemontese, in molte trattorie piemontesi rimaste legate alle vecchie tradizioni, in particolare del Canavese, il semolino viene servito come contorno di piatti di carne unito a verdura di stagione.
La caratteristica della Fritüra dossa piemontese, rispetto al semolino dolce fatto in altre Regioni italiane, è che esso viene insaporito con liquore “persico” (liquore a base di mandorle contenute nei noccioli delle pesche) ed eventualmente con l’aggiunta di qualche mandorla armellina (di pesche o di albicocche) finemente tritata. In alternativa, alcuni aggiungono una piccola percentuale di amaretti pestati nella polentina. Oggi il semolino, dopo l’impanatura, viene fritto in olio di semi, ma un tempo veniva fritto nel burro chiarificato.
La Fritüra dossa oltre ad essere cucinata in famiglia e nei ristoranti, è anche un prodotto da asporto, acquistabile in molte gastronomie del Piemonte. A Cuceglio, nel cuore del Canavese, da parecchi anni, nel mese di maggio, si svolge la Sagra della Fritüra dossa.

 

Giuraje

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Le Giuraje sono dei confetti sferici costituiti da una nocciola intera tostata, ricoperta da uno spesso strato di zucchero legato da una piccola percentuale di farina di grano tenero. Lo zucchero che riveste le nocciole non rimane liscio, ma, per effetto del metodo di lavorazione, assume un aspetto bitorzoluto che, nel dialetto locale, viene definito “grutulü”. La lavorazione avviene all’interno di un’apposita “basina” (bacinella) rotante in rame sotto la quale viene acceso un fornello a gas. Le “basine” da confetteria venivano già costruite dagli artigiani ramai di Pont Canavese e di Cuorgné nel 1700 e venivano fornite alla Corte Sabauda e ai confetturieri di Torino e non solo.
Una ricetta quasi uguale all’attuale, prodotta a Pont Canavese, si trova pubblicata sotto la voce Confetti di nocciuole a pagina 365 del Confetturiere Piemontese pubblicato a Torino nel 1790. La tecnica di realizzazione, rispetto alla ricetta odierna è quasi identica; l’unica differenza sta nell’uso della gomma arabica al posto della farina; quest’ultima rende le Giuraje friabili e croccanti e non dure come i classici confetti.
L’idea di utilizzare la nocciola al posto della mandorla per creare un confetto è nata sicuramente dalla grande abbondanza di ottime nocciole che da sempre il territorio piemontese offre.
In tutto il Canavese e nelle Valli di Lanzo, tra le famiglie originarie di tali luoghi, è ancora ben radicato attualmente il motto: “à portu le giuraje” (portano le giuraje) per dire che una coppia porta i confetti con l’intenzione di sposarsi. Segno, quindi, che questo tipo di confetto era molto diffuso sia in Canavese che nelle Valli di Lanzo. Inoltre, sul Gran Dizionario Piemontese-Italiano scritto da Vittorio Sant’Albino, a pagina 641 dell’edizione del 1859, alla voce Giuraje si legge: “apparato di confetti e d’altro che si fa per gli sposali”.

 

Grissia

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La Grissia monferrina è un pane che rientra nella tipologia “a pasta dura”, tipico del Monferrato. Il formato classico si aggira tra i 220 e i 300 grammi mentre il Grission varia da 500 grammi a un chilogrammo. A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso alcuni panettieri hanno anche iniziato a preparare forme più piccole di peso variabile dagli 80 ai 120 grammi denominate Grissiette. Grande o piccola che sia, la Grissia ha una forma che ricorda vagamente due chiocciole unite.
Può essere preparata con una “biga” (preimpasto piuttosto sodo a lievitazione lenta a base di farina di grano tenero, acqua e pochissimo lievito) oppure con “pasta di riporto” (impasto volutamente avanzato della panificazione precedente). Entrambi costituiscono la materia prima per l’impasto finale vero e proprio, a base di farina di grano tenero, acqua, lievito di birra, strutto, malto e sale.
Una volta cotte, le forme di pane, talvolta di dividono autonomamente se il punto di giuntura è molto ridotto, per effetto del taglio che viene praticato prima di infornarle. A volte vengono divise con un piccolo gesto manuale se il cliente desidera acquistare soltanto mezza Grissia. La consistenza della Grissia è compatta e senza alveolature; ha crosta liscia, croccante e friabile, di facile masticazione. La sua fragranza si mantiene per due o tre giorni.
La Grissia si consuma comunemente come pane da pasto. Un tempo, era abitudine consumarla appena sfornata sfregata con aglio; questa semplice preparazione viene denominata, in dialetto piemontese, “soma d’aj”.

Risi tradizionali

I Risi tradizionali coltivati in Piemonte appartengono alla sottospecie japonica del riso (Orhyza sativa). Nel corso dei secoli sono state selezionate una serie di cultivar o varietà dalle caratteristiche particolarmente legate al clima e al territorio da un lato, alle cucine regionali dall’altro, con una svariatissima gamma di piatti tipici. Le varietà “storiche” presenti sulla “vecchia” scheda sono: Arborio, Baldo, Balilla, Carnaroli, Sant’Andrea e Vialone Nano. Accanto a queste, sono ora state inserite altre tre varietà:

Gigante Vercelli (lungo A)
Selezionata nel 1946, divenne ben presto una delle più coltivate nel vercellese, per essere poi abbandonata alla fine degli anni ‘70 a favore altre varietà.
La sua naturale resistenza al brusone (grave malattia fungina del riso), è stata forse il principale motivo che ne ha determinato il recupero e la coltivazione, che può essere pertanto attuata senza l’uso di fungicidi.
Grazie alle spiccate caratteristiche organolettiche, all’elevato contenuto in amido resistente e all’ottima tenuta in cottura, è un riso ideale per la preparazione di risotti oltre che, storicamente, per la panissa vercellese.

Maratelli (Medio)
E’ una delle eccellenze storiche della risicoltura italiana, derivante da un’ibridazione naturale della varietà Chinese Originario scoperta e selezionata nel 1914 da Mario Maratelli, nel suo paese di origine, Asigliano, in provincia di Vercelli. Proprio nei terreni della “bassa” vercellese, tale varietà ha trovato la sua terra di elezione, diventando in pochi anni una delle varietà più coltivate.
Grazie alla tenuta in cottura e alla capacità di assorbimento dei sapori, tra gli anni ‘60 e ‘70 del ‘900 è stata infatti una delle varietà più apprezzate dalle famiglie italiane, sia per la preparazione di risotti che di altri piatti della tradizione; la sua coltivazione venne tuttavia in seguito progressivamente abbandonata a favore di varietà più produttive.
E’ un riso di facile digeribilità, particolarmente adatto per l’alimentazione dei più piccoli.

Razza 77 (lungo A)
Fu selezionato a Bologna nel 1938 presso l’Istituto di Allevamento Vegetale per la Cerealicoltura e la sua coltivazione ebbe pieno sviluppo negli anni ‘50 del ‘900.
La produzione venne abbandonata in seguito, principalmente a causa delle difficoltà di coltivazione dovute alla tendenza della pianta, di taglia molto alta, ad “allettarsi” (piegarsi a terra sotto il peso della pannocchia matura), compromettendo il raccolto.
Considerata però l’alta qualità del prodotto, anche questa varietà è stata recuperata, grazie alle moderne tecniche agricole che consentono di ridurre al minimo i rischi legati alla coltivazione.
Le caratteristiche organolettiche ne fanno una varietà di pregio, ideale per la preparazione di risotti.